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Contributi e articoli [ Baroffio ]

   

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Giacomo Baroffio - Eun Ju Kim


Integrazione - esclusione - sostituzione

momenti di storia del canto gregoriano



Penso che qui a Radda in Chianti non ci siano state finora molte conferenze sul canto gregoriano. Ciò mi suggerisce di fare una premessa che dovrebbe eliminare ogni dubbio sulla consistenza delle affermazioni che farò nel corso di questo intervento. Penso soprattutto ai dubbi relativi alla veracità di quanto dirò, sul grado di mera ipotesi o di verità storica provata e suffragata da testimonianze di quanto verrò ad esporre.1


Una premessa metodologica


La storiografia in generale propone degli affreschi o dei mosaici delle epoche passate rastrellando tra la tutta documentazione accessibile i tasselli che servono allo scopo. Così sono state ricostruite epoche e vicende che da sempre ci aiutano a ripercorrere le tappe della storia con maggior attenzione ad uno o ad un altro aspetto: dall'esistenza quotidiana "normale" a cruciali periodi segnati ora dal travaglio di guerre e carestie, ora dalla pax di un'età relativamente quieta e ricca di espressioni artistiche. Ci sono situazioni scomparse totalmente, mentre di altre sono rimasti soltanto i contorni di abissali punti neri, mentre di altre ancora è possibile colmare molte lacune e collegare punti apparentemente distanti e, a prima vista, del tutto sconnessi tra di loro.

Se leggete una storia della liturgia o un manuale relativo alla musica medioevale, rimarrete sorpresi di scoprire molte notizie relative al canto gregoriano, di apprendere nomi di persone impegnate nella redazione di repertori e di libri liturgici. Dalla lettura di qualsiasi testo sul medioevo musicale sembra quasi che si sappia tutto e che tutto sia chiaro.

Purtroppo non è così. Lo stato concreto delle nostre conoscenze richiamano un'immagine per certi aspetti drammatica: a proposito dei repertori musicali delle antiche liturgie latine possiamo immaginarci di poter fare affidamento soltanto ad una zattera - su cui sono affastellate alcune ipotesi - alla deriva in un vasto oceano di ignoranza e di non-conoscenze. Quello che si scrive a proposito di musica medioevale non è, infatti, una storia della musica medioevale paragonabile alle storie dei consoli e degli imperatori romani o delle dinastie medioevali dai capeti ai carolingi fin su agli ottoni e agli Stauffer. Per quanto riguarda il fenomeno musicale la storia si limita a ricostruire alcuni ambienti (chiese, monasteri, corti, spazi sociali) in cui inserire le testimonianze "musicali" superstiti. Ma queste ultime sono soltanto pezzi frammentari in proporzione infinitamente ridotta rispetto al patrimonio librario delle varie epoche. E, fatto da non trascurare, la musica si realizzava in un contesto prevalentemente di tradizione orale dove i libri scritti erano relativamente pochi e di importanza relativa.

Quelle che conosciamo sono storie musicali ricostruite sulla base assai precaria di testimonianze minime e sopravvissute, nella maggior parte dei casi, per pura casualità. Inoltre nel nostro campo occorre tener presente due cose gravide di conseguenze per il musicologo storiografo: in primo luogo è bene ricordare che i libri con musica non erano libri di musica in senso moderno: a parte gli errori dei copisti, le melodie scritte non sempre riflettono la musica realmente cantata o suonata. In secondo luogo la musica non la si ritrova più nella pagina scritta: quest'ultima è soltanto una traccia che ci non permette di ascoltare quella musica in quanto espressione di una particolare cultura.

Non riusciamo a risentire quelle melodie con tutta la carica emotiva - o anche con il vuoto interiore e lo sgomento - che ha creato l'ambiente in cui quelle musiche sono state create ed eseguite. In poche parole: le nostre ricostruzioni storiche sono castelli di ipotesi; le nostre esecuzioni di musica medioevale più che permetterci di ascoltare la musica del passato, ci fanno sentire le nostre ricostruzioni, ciò che secondo noi era tale musica, senza la minima possibilità di conferma.

La problematica al riguardo è assai complessa: pensate che mentre un dipinto, ha bisogno soltanto di un osservatore perché esso esiste e parla attraverso i tratti del disegno ed i colori,2 la musica ogni volta necessita non solo di un uditore attento e rispettoso, bensì anche di un esecutore

La nostra ignoranza esige di essere colmata da studi seri e sistematici che, nonostante oltre un secolo di ricerche gregoriane, sembra essere sempre agli inizi. Continuano a spuntare domande che non trovano risposta, alcune "certezze" sono messe periodicamente in discussione da nuovi ritrovamenti. Sono benemerite le diverse "storie della musica" che offrono una sintesi e che fanno il punto della situazione. Ma è chiaro che ci troviamo ancora in una fase pionieristica dove c'è bisogno soprattutto di analisi e di studio minuzioso dei tanti tasselli del nostro mosaico: le miglia di codici e frammenti liturgico musicali ammassati nel tempo e ancora tutti di scoprire.


Alcune osservazioni sull'origine del canto liturgico


Dopo quanto ho appena detto, sembrerà temerario affrontare l'argomento di questo incontro quale è stato formulato nel titolo della relazione. Ma si vedrà subito come i problemi fondamentali della storiografia gregoriana non trovino altre soluzioni che alcune ipotesi di lavoro. Una domanda di fondo riguarda l'origine del canto nella liturgia. Qual è il motivo principale per cui ci si è messi a cantare o a suonare durante le celebrazioni delle primitive comunità cristiane? Una risposta sembra ovvia: la liturgia cristiana alle origini della vita ecclesiale era una ritualità mutuata dall'ebraismo e pertanto anche la musica è entrata in Chiesa perché era familiare nelle celebrazioni del tempio e delle case dei pii ebrei. Questa risposta non risolve il problema, ma lo rimanda semplicemente nel tempo perché c'è da chiedersi, allora, come mai gli ebrei 2000 anni - o quando mai sia stato - prima dell'era volgare si siano messi a cantare durante i riti liturgici.

Non rimane il resoconto di quanto è avvenuto, ma l'ipotesi più attendibile fa pensare che il canto sia stato introdotto per onorare la Parola di Dio, fonte della vita spirituale nella comunità dei credenti. Onorare: non tanto in senso di rendere solenne la Parola e di riconoscerne il primato e l'importanza, quanto nel senso di un profondo rispetto per la Parola ineffabile. Parola ineffabile che squarcia il velo del mistero e permette di ascoltare nel silenzio la voce di D-i-o. Parola la cui profondità non è espressa dalle parole bensì dal silenzio dilatato e colorato dalla musica. Parola che grazie alla musica è sottratta all'arbitraria mediazione umana che fa di ogni suo lettore un interprete, un ponte di congiungimento ma anche una barriera insormontabile che nasconde e annulla la Parola nel brulicare delle chiacchiere.

Ad un certo momento nella liturgia la musica si ritrova di casa: umile ancella della Parola ne condivide il fulgore fascinoso. Il canto allora davvero incanta e apre all'orante le porte della contemplazione, della comunione con Dio. Il fattore scatenante che ha dato origine alla musica sacra sarebbe quindi un'esperienza mistica, il che non esclude altre con-cause quale, ad esempio, la necessità di proclamare la Parola con una sonorità ricca di armonici in modo da far correre la voce in ampi spazi e raggiungere così una cerchia più vasta di ascoltatori. È significativo il fatto che nella vita liturgica del passato non c'era Parola senza musica e, in un certo senso, non c'era musica se non con la Parola (la memoria va qui ai fatti recenti dell'Afghanistan e all'accanimento dei talebani contro la musica che si era resa autonoma dalla cantillazione del Corano).


Alcune osservazioni sulle origini del canto liturgico delle Chiese latine


Nell'anno "0" della storia della Chiesa la musica liturgica cristiana poteva festeggiare più o meno il suo duemillesimo compleanno. Le concezioni di fondo sull'impianto della liturgia (si pensi alle categorie di benedizione e di memoriale) e le strutture con gli stilemi principali del canto sono tra le più preziose eredità - sotto certi aspetti una vera e propria usurpazione - della tradizione ebraica in ambito cristiano. Intorno alla Parola, alla necessità di renderla accessibile e comprensibile, si è sviluppato tutto un sistema di toni di lettura (cantillazione). Man mano che le strutture liturgiche si sono sviluppate e hanno dato origine a molteplici azioni (ad esempio, la Messa ed i vespri), articolate in momenti rituali ben diversificati, anche la musica è stata sollecitata a dare un suo specifico contributo. Secoli di elaborazioni teologiche e di sperimenti musicali innestati su una piattaforma di base costituita dall'esperienza orante, hanno condotto alla configurazione dei singoli repertori adatti alle esigenze di ciascun rito proprio delle più importanti diocesi o regioni ecclesiastiche dell'Europa latina. Così, ad esempio, la liturgia mozarabica in Spagna era vivificata dal canto ispanico, nelle chiese galliche risuonava il canto gallicano, a Milano le melodie era attinte dal thesaurus ambrosiano. Probabilmente ad opera dei maestri della Schola Cantorum Romana, il repertorio locale dell'Urbe è stato rielaborato nella seconda metà del secolo VII secondo nuovi canoni estetici mutuasti in parte dalla propria esperienza personale, in parte dalle suggestioni provenienti del mondo gallico, dalla cultura bizantina e medio-orientale.3 Il risultato straordinario di questa operazione culturale senza precedenti è la redazione di un repertorio musicale di carattere universale la cui autorevolezza è stata sottolineata dall'attribuzione a papa san Gregorio Magno: il canto gregoriano.4


Gli sviluppi del repertorio liturgico tra integrazioni ed esclusioni


Strettamente vincolato all'impianto della liturgia,5 il canto sacro ha da sempre trovato il suo spazio vitale all'interno di un edificio rituale ben strutturato. Ciò ha permesso che si inserissero melodie in momenti in cui era possibile, come nel caso dei canti processionali della Messa che accompagnavano in particolare le due principali processioni, quella iniziale durante la quale si cantava l'introito con un salmo e quella della comunione, scandita dalla corrispondente antifona di comunione alternata ai versetti di un salmo.

Diversa e significativa è la sorte di un altro canto, l'inno. D'origine orientale siriaca, l'innodia nella liturgia latina è entrata grazie all'opera di alcuni vescovi del Nord, Eusebio di Vercelli e, soprattutto, Ambrogio di Milano (+ 397).6


Nonostante la diffusione di questo nuovo genere di canto nella liturgia ambrosiana e nella tradizione monastica benedettina, l'inno non è stato accolto a Roma se non verso la fine del secolo XII. Nel IV-V secolo a Roma la struttura della liturgia delle Ore era considerata unitaria e "completa" nelle sua articolazione che prevedeva il canto dei salmi con le relative antifone e la proclamazione delle letture con i corrispondenti responsori. Ciò non impediva la presenza di altri piccoli elementi (versicolo, orazione), ma escludeva ogni spazio per accogliere una innovazione quale è stata l'innodia.

Il caso degli inni è emblematico perché probabilmente mette in evidenza il duplice carattere dello spazio liturgico che può accogliere nuovi elementi: si tratta di uno spazio strutturale-temporale, in quanto la celebrazione ha una sua architettura, una sua durata ed un suo ritmo, e non può essere deformata né da cesure arbitrarie né da inserzioni che non abbiano una loro collocazione armonica. C'è però anche uno spazio concettuale che riguarda il contenuto tematico dei brani liturgici e la loro origine. Nella Roma del secolo IV, e anche successivamente, non rientrava evidentemente nello schema logico dei liturghi l'innodia con il suo linguaggio poetico, la sua musicalità peculiare e la sua origine svincolata dalla Bibbia e dalle Passiones dei santi (martiri).

Con l'affermazione della liturgia romana e del suo canto in tutti i territori italiani, si assiste ad una progressiva contrazione degli usi locali che presentavano caratteri troppo diversi dalla tipologia gregoriana. Nel Sud Benevento deve adeguarsi all'egemonia romana ed è costretta ad abbandonare i propri canti tanto dissimili dal linguaggio melodico gregoriano, come si può notare dall'offertorio pasquale Angelus Domini.7




Roma stessa - da cui nei secoli precedenti si era irradiata la liturgia latina su vasti territori europei - poco prima dell'anno 1000 subisce un forte influsso del mondo transalpino sotto la pressione politica degli Ottoni; all'inizio del secolo XI la liturgia romana si adegua agli usi germanici e introduce nella Messa il canto del Credo. Alla fine del secolo successivo, l'ho già ricordato, dopo un rifiuto di secoli anche l'Urbe introduce nelle Ore il canto degli inni.Nel XIII secolo, su istanza papale, la Roma delle basiliche e delle chiese periferiche è costretta a rinunciare al proprio repertorio arcaico, tipico esempio di musicalità mediterranea. Alcuni caratteri peculiari di questo linguaggio musicale si possono riscontrare nella recensione romano-antica dell'offertorio precedente con le microstrutture d'ornamentazione che si ripetono senza sosta. Un fenomeno che alcuni giudicano negativamente in quanto sembra rivelare mancanza di creatività e di fantasia, mentre basterebbe pensare al Boléro di Ravel per ricredersi sull'efficacia di queste tecniche ripetitive ostinate che creano un crescendo d'intensità difficilmente raggiungibile per altre vie.8



Le Chiese dell'Italia settentrionale dovrebbero essersi adeguate agli usi romani in epoca carolingia o poco prima, rinunciando spontaneamente - o abbandonando sotto pressione esterna ? - i propri usi liturgici con una marcata impronta locale, perlopiù gallica (del patrimonio musicale di Aquileia nel periodo precarolingio si conosce purtroppo poco o nulla). Molteplici traversie hanno segnato la storia liturgico-musicale di Milano, da sempre curiosa e recettiva delle più diverse suggestioni d'Oriente e d'Occidente. Questa apertura milanese permette di arricchire il repertorio musicale con brani d'origine siriaca e bizantina, e mitiga il trauma di un massiccio processo di romanizzazione particolarmente visibile nel repertorio musicale con alcune centinaia di brani d'origine romana importati - anche qui ci si pone la domanda se tutto ciò sia avvenuto spontaneamente o sotto pressioni/minacce - tra la fine del secolo VIII e il IX

secolo.9




Nel primo brano il contenuto del testo rimanda ad un'epoca (sec. IV-VI) in cui il 1 gennaio c'era una celebrazione anti-idolatrica per arginare i rigurgiti del paganesimo che continuava ad affiorare tra i cristiani. Il transitorio è un esempio di melodia ciclica che qui prevede la ripetizione per sei volte di un'unica frase melodica. Il brano sillabico presenta sulla sillaba finale della cesura mediana del testo - equivalente in questo caso al penultimo inciso testuale - un melisma d'abbellimento: segno proprio della tradizione mediterranea arcaica che ha lasciato tracce in ambito ebraico e cristiano.

Nelle altre Chiese dell'Italia settentrionale si osserva un progressivo allineamento alla liturgia romana con la lenta, ma inesorabile estromissione dei canti che non avevano più cittadinanza nel rito romano della Messa. Nelle fonti medioevali si osservano ancora qua e là brani come i versus processionali che accompagnavano l'inizio della celebrazione, l'antiphona ante evangelium, qualche canto di frazione. Dopo il XII secolo praticamente non c'è più traccia di questo patrimonio. Alcuni canti di queste categorie si trovano in un codice scoperto recentemente da Simona Gavinelli in un'importante chiesa del Lago Maggiore.10

Nel giorno di s. Stefano echeggiava ad Intra il ritmo Audite cuncti hæc cantica. Questo brano finora non ha riscontro in nessun altro codice; la sua melodia briosa richiama pezzi analoghi che si trovano in altre Chiese del Nord Italia.11




Interessante è l'antifona ante evangelium Lumen quod animi che è presente in vari repertori con differenti funzioni.12



Molto diffuso è il canto di frazione Emitte angelum che a Intra prevede l'alternanza tra schola/coro da una parte e il presbitero con il diacono dall'altra.13




L'integrazione delle novità in epoca carolingia


Nel momento in cui la liturgia romana e il repertorio musicale romano-franco non sono stati più recettivi nei confronti di prodotti locali e gli hanno espulsi dal contesto "ufficiale", il patrimonio primitivo di singole diocesi e zone culturali è riuscito talora a sopravvivere infiltrandosi in nuovi spazi. Tali situazioni la liturgia aveva sondato e accolto in territorio franco nella seconda metà dell'VIII secolo e presto sarebbero stati accettati anche negli altri territori europei latini. La novità, di estremo interesse per la storia della liturgia e della musica, è costituita dai tropi e dalle sequenze. Queste due forme, oltre a ricuperare materiale pregresso delle singole aree culturali, per vari secoli - soprattutto tra il IX e il XII - offre alla comunità dei credenti la possibilità di cantare la propria fede con testi e musiche che in modo più immediato e personale esprimevano i sentimenti del popolo di Dio.

Dopo un raro tropo di Pater noster,14 ascoltiamo un tropo di introito,15 la forma di tropatura più diffusa tra i canti del proprio della Messa. In entrambi i brani tra le sezioni dei pezzi liturgici originali sono stati inseriti elementi nuovi che amplificano il discorso musicale delle melodie liturgiche e con parafrasi approfondiscono ed attualizzano le tematiche dei testi originali.






Un'altra tipologia nel campo dei tropi prevede l'utilizzazione di un melisma già presente nel brano originale: il vocalizzo è ripreso con l'aggiunta di un nuovo testo in modo che, grosso modo, ad ogni nota corrisponda una sillaba. L'esempio seguente è tratto da un importante documento musicale medioevale, il cantatorio di Nonantola che nel secolo XI2 ha raccolto i principali brani solistici della Messa, cioè i canti interlezionali responsorio graduale, tratto ed alleluia.16





Attenzione merita una terza forma di tropatura, forse la più antica, che consiste nell'inserire un melisma all'interno di un brano liturgico esistente. Questo uso è l'unica tipologia di tropo conosciuta a Milano dove i principali melismi, qualora siano ripetuti come nel caso dello iubilus alleluiatico, sono ampliati (melodiæ secundæ). Un esempio eccezionale di tale prassi si trova anche nel ricordato cantatorio per la festa di s. Stefano.17







È probabile che tali melismi strutturati con ripetizioni, talora regolari, di incisi sia di origine gallicana. Essi amplificano anche altri canti del repertorio sino in epoca tardiva, com'è il caso di questa antifona - che Amedeo Gastoué riteneva di origine gallicana - che presenta alla conclusione un melisma un particolare alleluiatico oggetto di una successiva tropatura:18












Nonostante sia stato tramandato a Cividale in epoca relativamente recente - il codice è del secolo XIV - il melisma alleluiatico e la corrispondente rielaborazione tropistica potrebbe essere gallica/gallicana e pertanto di vari secoli più antica. Un caso analogo è oltremodo interessante. L'offertorio mariano Recordare presenta pure un melisma con la ripetizione regolare degli incisi che ha subito una rielaborazione tropistica.19 Non solo. Questa caratteristica successione di coppie melodiche presente nell'offertorio e nel relativo tropo Ab hac familia è alla base di Nembre-sse-te Madre de Deus, un brano (421 [11]) della famosa raccolta promossa da Alfonso X (+ 1284): le Cantigas de Santa Maria.




Accanto ai tropi, dopo il IX secolo le sequenze hanno avuto un grande successo che si prolungherà fino a tutto il secolo XV con una produzione particolarmente esuberante e una diffusione assai ramificata su tutto il territorio europeo. Il maestro indiscusso di questo genere, almeno per quanto riguarda i testi poetici, è stato un monaco balbuziente, Notker di san Gallo (+ 912). Tra le sue composizioni poetiche, la sequenza in onore dell'evangelista san Giovanni ha avuto una particolare fortuna.20 In questo caso la melodia ricalca il modello noto con l'appellativo "Romana".








Si nota subito che il linguaggio musicale è molto differente rispetto a quello tradizionale della cantilena gregoriana. C'è qualcosa di nuovo ed insieme di innovativo. È una musica che ha risonanze diverse tanto da essere eseguita anche al di fuori della liturgia. Significativo è un passaggio del Liber Politicus del cantore Benedetto di San Pietro: all'inizio del XII secolo egli ricorda come i cantori, dopo la solenne azione liturgica di Pasqua, intervenissero durante il pranzo del papa con l'esecuzione di sequenze.21

Molto caratteristici sono la struttura poetica ed il linguaggio musicale di un ingente numero di sequenze che si ispirano a modelli elaborati nella Francia settentrionale - area parigina ? - nell'XI secolo. Un brano estremamente raffinato è la sequenza per l'Epifania che ho trovato in un graduale toscano a San Gimignano e che probabilmente, nonostante la sua bellezza, non ha avuto grande diffusione.22




Le sequenze con altre novità liturgico-musicali quali i tropi e gli inni hanno una grande importanza per la conoscenza del medioevo latino, sotto l'aspetto musicale e soprattutto sotto il profilo teologico e culturale. I prossimi esempi sono paradigmatici. La sequenza Quem superne tripudiatim in onore di san Benedetto include nella sezione centrale due strofe dove si concentrano alcune tematiche prettamente musicali:23

Fare age schola canora christo cernua sacras laudes benedicto theologo laudabillima dic praeconia Iamiam chori alternatim melos pangite hymnifluos categorizantes ovatim symphoniaca modulamina.


Seguendo una linea catechetica che risale all'inizio del cristianesimo con Ignazio di Antiochia, anche il medioevo ha utilizzato la complessa ed insieme familiare realtà musicale per esprimere i contenuti della fede: le cose visibili e più conociute permettono per analogia di farsi un'idea delle verità della fede sconociute e avvolte dal mistero. È interessante al riguardo ascoltare la sequenza Organicis canamus modulis ricca di reminiscenze musicali che aiutano a farsi un varco per penetrare nel mondo della fede. Si noti tra l'altro, la duplice accezione della parola latina fides nella strofa 2b. Essa è intesa sia come fede, ma subito prima come corda dello strumento pizzicata dalle dita del musicista. Il brano era diffuso in tutta l'Europa ed era cantato nella festa di vari santi:24



L'ultimo esempio dal repertorio delle sequenze ha un particolare valore teologico: è una breve ed interessante sintesi cristologica che in cui si snoda una serie di titoli cristologici propri dell'età patristica e altomedioevale. Alcuni di questi titoli - ad esempio Cristo verme - sono comprensibili nel contesto della zoologia e antropologia della tarda antichità. È questo un caso esplicito in cui un brano musicale è utilizzato quela mezzo di comunicazione catechetica.25



Queste diverse situazioni danno un'idea sommaria del complesso intreccio di relazioni culturali, cronologiche e geografiche che sono state determinanti nella elaborazione dei diversi repertori "tardivi" delle Chiese nel medioevo latino. Lo scenario è tutt'altro che semplice; continua è la tensione tra assimilazione ed esclusione, tra l'accoglienza di quanto può essere integrato nel proprio patrimonio e ciò che invece è rifiutato quale corpo estraneo. Ricordo a proposito due casi particolarmente evidenti. A Comacchio i canonici della cattedrale hanno utilizzato dei codici musicali che però suscitavano profonde reazioni negativre in quanto le melodie trasmesse sembravano piene di mende ed erano contrarie agli usi tradizionali appresi dalla viva tradizione orale. Il comportamento dei canonici era giustificato dal fatto che i manoscritti per l'uso corale in parte erano di origine domenicana, erano stati importati - e imposti ? - da un vescovo domenicano e non corrispondevano pertanto agli usi locali radicati nella memoria storica del clero.26

Ildegarda di Bingen è un'autrice straordinaria. Le sue composizioni si distinguono per la profondità e bellezza dei testi poetici; ma lo stile musicale è fortemente caratterizzato, tanto da non facilitarne una vasta diffusione al di fuori delle mura del suo monastero. Praticamente sembra che le sue melodie siano state eseguite in pochissimi monasteri. Nel seguente carme trinitario Ildegarda, come ha notato il musicologo portoghese Barbosa - rielabora liberamente nel testo e nella musica l'inno dei vespri O lux beata Trinitas.






Le sostituzioni caratterizzanti


Dopo l'epoca carolingia, dal momento in cui si possono seguire meglio le tracce dei percorsi storici dei repertori liturgici musicali, si afferma un po' ovunque il principio della sostituziione caratterizzante. Questo fenomeno consiste nello scegliere dal vasto repertorio tradizionale o anche nel comporre ex novo un unico brano o pochi pezzi che distinguono la celebrazione di una Chiesa particolare dalle altre. Tale processo interessa soprattutto alcune tipologie: nei formulari per la celebrazione della Messa diventano caratterizzanti in particlare gli Alleluia, che da sempre costituiscono una sezione autonoma rispetto agli altri canti della Messa. Nella liturgia delle Ore assumono una particolare funzione caratterizzante le antifone ai cantici evangelici delle lodi (Benedictus) e dei vaspri (Magnificat), ancorché si debba notare una più ampia libertà di scelta che investe globalmente tutto il repertorio musicale dellle Ore rispetto a quello dell'Eucaristia. Ciò significa che a fronte di un'ampia piattaforma comune che in qualche modo unisce tutte le Chiese latine sparse nel vasto territorio europeo, c'è pure un ampio margine di autonomia che permette alle singole comunità di caratterizzare la propria vita orante.27

Dopo l'XI secolo si assiste al dilagare di una fioritura di nuove composizioni che non si limitano a singoli brani, ma riguardano interi formulari in onore di santi locali. Nella liturgia delle Ore, le primitive sezioni caratterizzanti - costituite talora dalle sole antifone al Magnificat o dalle antifone di lodi/vespri, mentre per il resto dell'ufficio si ricorreva ai formulari dei rispettivi comuni - fanno spazio a formulari integrali che rielaborano i contenuti biografici e dottrinali in chiave edificatoria ed apologetica: si esaltano le virtù dei santi per farne modello di comportamento sociale. Spesso si usano artifici poetici e musicali per rendere la comunicazione più immediata e interessante, più incisiva nella memoria, come nel caso degli uffici ritmici in cui abbandonano le rime.

È tutto un mondo in fermento che trova nei rinnovati linguaggi musicali l'espressione adeguata per manifestare i propri sentimenti religiosi e sociali. Mentee si conserva, senza fanatismno esasperato, il patrimonio tradizionale, si tracciano solchi che aprono il cammino verso il futuro con novità che si distinguono per la proprietà e la bellezza. Nova et vetera, conservare et promovere, tradizione e progresso, universalità e particolarismo: sono alcuni binomi che segnano lo sforzo di una grandiosa sintesi compiuta nel mondo liturgico-musicale che per secoli ha saputo integrare in modo armonico linguaggi differenti.

Non so quando è accaduto, ma alla fine di un medioevo straordinariamente luminoso - innovativo ed insieme fedele alla migliore tradizione del passato - si assiste ad un cambiamento di rotta che ha segnato la storia successiva, fino ai nostri giorni. Si abbandona il principio fondamentale dell'integrazione tra realtà diverse che per secoli ha regolato con grande equilibrio le istanze, sempre relative, della esclusione e della sostituzione. La sintesi tra passato e avvenire lascia il passo ad un aut aut iconoclasta.28 Il canto gregoriano tradizionale è costretto a scomparire davanti all'avanzata delle nuove mode trionfanti che trovano nel canto fratto la loro massima espressione. Il passato è condannato a scomparire. La novità diviene il criterio assoluto di sopravvivenza, dimenticando che "chi sposa la moda oggi, domani è vedovo". Ma questo è un altro capitolo i cui chiaroscuri saranno evidenziati dalle relazioni che seguono a questo mio intervento. Grazie.

1 Il testo della conferenza è di Giacomo Baroffio; Eun Ju Kim ha trascritto gli esempi musicali.

2 Si può applicare alla musica, con i dovuti adattamenti, ciò che Mark Rothko scriveva nel 1947: "Il dipinto non può vivere nell'isolamento. Ha bisogno dello sguardo di un osservatore sensibile per potersi ridestare e sviluppare. Senza quello sguardo il dipinto muore. Ogni volta che ci si congeda da un'opera e la si consegna al mondo si compie un gesto rischioso e spietato. Quante volte il nostro dipinto sarà irrimediabilmente offeso dallo sguardo volgare o crudele di coloro che vogliono riempire l'intero universo della loro meschinità, della loro impotenza"; citazione da Mark Rothko (Marcus Rothkowitz), Scritti. A cura di Alessandra Salvini. Con uno scritto di Michel Butor, Milano, Abscondita 2002, 31 (Miniature, 6). Importante sarebbe anche una riflessione sul luogo in cui risuona la musica e, in specie, il canto gregoriano. Sentiamo ancora Rothko (p. 39): "(...) Poiché sento un profondo senso di responsabilità per l'esistenza che le mie opere andranno a condurre nel mondo, accetto con gratitudine qualsiasi occasione espositiva in cui si salvaguardi la loro vita e il loro significato, così come mi sento in dovere di evitare tutte quelle situazioni in cui credo che ciò non sia possibile".

3 Una seconda ipotesi considera invece la Francia del secolo VIII patria della redazione primitiva del canto gregoriano, denominato pertanto romano-franco. - Nel presente contributo Giacomo Baroffio ha aggiornato il testo del suo intervento a Radda nel 2000; gli esempi musicali sono stati trascritti da Eun Ju Kim.

4 Cfr. Giacomo baroffio, Il canto gregoriano: Culto e Cultura, in Giacomo Baroffio – Danilo Curti – Marco Gozzi (edd.), Jubilate Deo. Miniature e melodie gregoriane. Testimonianze della Biblioteca L. Feininger. Catalogo, Trento, Provincia Autonoma di Trento 2000, 15-48.

5 Non si potrà sottolineare a sufficienza che alcuni fenomeni d'interesse musicale - ad esempio, il collocamento di un brano in una nuova posizione dell'anno liturgico o il trasferimento di un canto, o di un blocco di canti, da un repertorio all'altro - si comprendono soltanto tenendo presente la storia della liturgia ed i suoi sviluppi. Su alcuni punti particolari cfr., ad esempio, Jean Claire, La musique de l'office de l'avent, in Jacques Fontaine et Al. (edd.), Grégoire le Grand, Chantilly, Centre culturel Les Fontaines 15-19 septembre 1982, Paris, Ed. CNRS 1986, 649-659; Alberto Turco, Il Graduale Romanum. Pasqua, Quaresima, Avvento-Natale, “Studi Gregoriani” 15, 1999, 39-85.

6 London, British Library, Add. 34209, p. 122 (antifonario ambrosiano, sec. XII1).

7 Benevento, Bibl. Capitolare, 38, c. 53r.

8 Città del Vaticano, F 22, c. 54v.

9 Seguono due brani ambrosiani: l'offertorio Ubi sunt dii (1 gennaio: Cremona, Bibl. Statale, 317, c. 40v) e il transitorio (canto di comunione) Te laudamus (IV domenica dopo l’Epifania: c. 46v).

10 Intra, Arch. Capitolare, ms. 5 (tropario-sequenziario-processionale locale del sec. XII1).

11 Intra, Arch. Capitolare, ms. 5, c. 8v. Esempio di affinità nel linguiaggio musicale può essere considerato l'inno processionale Audite tramandato a Modena (Bibl. Capitolare, O.I.13, c. xxxe in un frammento di Bologna (Bibl.- Umniversitaria, 2217, c. xxx).

12 Intra, Arch. Capitolare, ms. 5, c. 75v (Giovanni Battista). Il brano è presente quale antifona ante evangelium in Bologna, Bibl. Universitaria, 2824, c. 67v (Nonantola), Verona, Bibl. Capitolare, CVII, c. 98r (Mantova). Nella liturgia ambrosiana è utilizzato come psallenda cum Gloria e antifona (Manuale pp. 302 e 303). Quale ingressa "arcaica locale" si trova a Benevento: Bibl. Capitolare, 38, c. 110r; 40, c. 85r. Sulle antifone ante evangelium cfr. James Borders, The Northern Italian Antiphons ante evangelium and the Gallican Connection, "J. Musicological Research" 8, 1988, 1-53; a p. 20 edizione della melodia dal codice nonantolano. Altra edizione in James Borders, Early Medieval Chants from Nonantola. III: Processional Chants, Madison, A-R Editions 1996, 12 (Recent Researches in the Music of the Middle Ages and Early Renaissance 32).

13 Intra, Arch. Capitolare, ms. 5, c. 7r (Natale) con la rubrica relativa all'intervento del presbitero e del diacono prima di Nos frangimus. Su questo brano cfr. Paul Cagin, L'Euchologie Latine étudiée dans la tradition de ses formules et de ses formulaires. 1. Te Deum ou Illatio?. Contribution à l'histoire de l'Euchologie Latine, à propos des origines du Te Deum, Abbaye de Solesmes - Appuldurcombe, 1906, 215-238 (Scriptorium Solesmense I,1). Con la variante sempiterna/no, Intra appartiene alla prima delle tre recensioni analizzate da Cagin (p. 217) come i codici di Ivrea e di Vercelli (che presentano altre varianti) e differisce, in questo punto, dal codice oxoniense 222 della Novalesa.

14 Chartres, Bibl. Municipale, 520, c. 323r (messale, Chartres, sec. XIII).

15 Intra, Arch. Capitolare, ms. 5, c. 33v. Questo tropo (cfr. Analecta Hymnica 49, 161) è inserito nella Messa in onore del vescovo s. Gaudenzio, patrono della diocesi di Novara nel cui territorio si trova Intra. Il codice contiene soltanto il tropo; la melodia dell'introito è quella tradizionale.

16 Nonantola, Museo, Museo benedettino e diocesano d’arte sacra, Cantatorio, c. 71r.

17 Nonantola, Museo benedettino e diocesano d’arte sacra, Cantatorio, c. 11v. Questo melisma è stato studiato attentamente da Jacques Handschin e da Bruno Stäblein.

18 L'antifona processionale di Pasqua Cum rex gloriæ con la prosula Triumphat Dei filius è stata trascritta da Cividale, Museo Archeologico Nazionale, LXXIV, c. 65v (graduale kyriale tropario sequenziario, Cividale, sec. XIV-XV). Gastoué ne ha parlato in un articolo della "Revue du Chant Grégorien". Recentemente si sono interessati al brano Emidio Papinutti, Il processionale di Cividale, s. l., Ed. di "Int Furlan" (1972), 197-199; Gilberto Pressacco, L'antifona "Cum rex gloriae Christus" nel Processionale Aquileiese, in Laszlo Dobszay (ed.), Cantus Planus. Papers Read at the 6th Meeting Eger Hungary 1993, Budapest, Hungarian Academy of Sciences - Institute for Musicology 1995, II, 561-572.

19 Anche l'offertorio Recordare virgo mater con la prosula Ad hac familia (Messa della Madonna Salve sancta parens) è stato ripreso da Cividale, Museo Archeoliogico Nazionale, LXXIV, c. 76v.

20 Intra, Arch. Capitolare, ms. 5, c. 17v (cfr. Analecta Hymnica 53, 276).

21 "Ad dimidium vero conviivum, ex precepto archidiaconi surgit quidam diaconus et legit leccionem. Cantores autem ex precepto domni pontificis cantant sequentiam que sit conveni4ens Pasche, modulatis organis.": Paul Fabre - Louis Duchesne (edd.), Le Liber Censum de l'Eglise Roamine publié avec une préface et un commentarire, II-III, Paris, A. Fontemoing 1905, 153 (Bibliothèque des Ecoles Française d'Athènes et de Rome, 2. S., VI, 5).

22 San Gimignano, Museo d'Arte sacra, Graduale del sec. XIV. Secondo gli editori degli Analecta Hymnica (9, 17), questo brano si troverebbe soltanto in due codici della Germania meridionale.

23 Il testo completo del brano: Quem superne Tripudiatim beatificant cohortes in aethra cui fovet consors aetherea curia Cuius nomen beatum felicem tenet praesagium qui christi nancisci meruit gratiam Huius enim grata celebritas nunc micat qua corporea translata sunt santa membra Ipsum ergo extollamus per saecla qui cuncta sprevit orbis funditus lenocinia Cum esset aevo indolis in primaevo flore incanuerat animo in recenti tirocinio Qui patris spreta omnia supellectilia anachoreseos petens cluebatque anachoreta O agie benedicte inclitorum summe quique mente avida internum inspectorem sitiens amictu exutus cruentabaris inter dumeta Tu flamine cunctorum christicolarum fartus sternens potenter hydrum zabulorum pellens praestigia praescius futurorum agnitor cordium arcana Tibi cuncta mundi machina nocte intempesta instar sub titanis speculo ostenditur prorsus collecta Momento postmodum modico exutum corpore germanum praesulem cernebas nantem ad superna adyta Fare age schola canora christo cernua sacras laudes benedicto theologo laudabillima dic praeconia Iamiam chori alternatim melos pangite hymnifluos categorizantes ovatim symphoniaca modulamina Sophus sophorum tu sophiae angelorum consors virtuteque compar apostolorum confessorum apex meritis rutilans Coenobitarum gerens sceptra quibus vitalia consideras monita sat docilis custodientibus ac salutaria Cumque examine supremo censor censorum maiestate splenduerit corruscus orbis ut discutiat damnabilia crimina O benedicte pater patrum te corruscante schemate tunc genuino nostrorum patronus agnoscaris et heros ante omnia Ergo nos tuos clientulos agnitos tecum mansuros fac ut adeamus ovilia ubi degunt monachorum agmina Iam harmonicis cantilenis paene exactis precamur ut exitur a saeculo reperiamur tuam clementiam Antiquum hostem amove uti possimus subire te duce poli regiam Completa nostra camoena recum canamus domino perpetim iubilamina (Analecta Hymnica 7, 141 n. 128).

24 La versione proposta è quella del graduale bobbiese del sec. XII:ç Torino, Bibl. Nazionale Universitaria, F IV 18, c. 137v. Sul testo della sequenza Organicis (canamus) modulis e sulla sua diffusione cfr Analecta Hymnica 53, 385-390 n. 242.

25 Anche Alma chorus domini ha diffusione europea; cfr Analecta Hymnica 53, 152-154 n. 87. La versione melodica è quella di Pistoia, Arch. Capitolare, C 121, 51v.

26 Sulle vicende di Comacchio cfr. Giacomo Baroffio, I corali del Duomo di Comacchio: libri liturgici domenicani, in Nora Clerici Bagozzi - Aniello Zamboni (edd.), I tesori nascosti delle chiese di Comacchio. Comacchio, Palazzo Vescovile 10 giugno - 5 novembre, Ferrara, Corbo 2000, 124-128.

27 Su questo fenomeno cfr. Giacomo Baroffio, I manoscritti liturgici italiani tra identità universale e particolarismi locali, in Sergio Gensini (ed.), Vita religiosa e identità politiche: universalità e particolarismi nell’Europa del tardo medioevo, Ospedaletto PI 1998, 449-464 (Collana di Studi e Ricerche, 7).

28 È bene sottolineare questo capovolgimento radicale nel rapportarsi al passato: dall'epoca carolingia in poi, grazie a tropi e sequenze e migliaia di altri brani, la novità è stata integrata nel linguaggio tradizionale: l'ha ravvivato dall'interno e ne è stata, a sua volta, arricchita. Dopo il secolo XVI la novità non è più riuscita a dialogare con il passato e ha reciso le proprie radici. Fatto triste che ha impoverito la novità stessa, come dimostra la sprezzante furia iconoclasta che ha finito per prevalere dopo il Concilio Vaticano II.