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Manoscritto Cantoria - introduzione

   

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Il manoscritto F.C.131 della biblioteca L. Feininger, in buono stato di conservazione, porta il nome di CANTORIA ed è stato redatto nella prima metà del sec. XVIII (1736) dal Padre Benigno da san Giovanni Valdarno (Ar) O.F.M., per il Convento francescano di S. Maria in Prato a Radda in Chianti . E' costituito da 120 carte, con cartulazione coeva in cifre romane rosse al centro del margine superiore del recto (I-CI), completata da cartulazione recente a matita nell'angolo inferiore interno del recto (102-120).

Il Codice è un tipico esempio di libro corale (per l'uso del coro) di grandi dimensioni, visto che misura mm 580 in altezza per mm 415 ca. in larghezza.

E' costituito al suo interno da 15 quinterni e le pagine hanno una rigatura a lapis con singole linee verticali ai lati e sei fori lungo i margini laterali. Lo specchio della scrittura misura: mm 425 x 290.

Il tipo di scrittura usata è quella rotonda con inchiostro nero, apparentemente tracciata con l'ausilio di stampini, tipici di quel periodo.

Il manoscritto nel suo complesso è riccamente decorato; presenta maiuscole alternate in rosso e azzurro per le sezioni di testo, mentre sono ben cinquantadue le iniziali policrome con le foglie di acanto addossate, che sono o campite su riquadrature in diversi colori e profilate di nero, con piccole appendici acantiformi estese, oppure di stile epigrafico, su riquadrature decorate con elementi geometrici di fantasia. Di particolare rilievo è l'iniziale di c. II , di dimensioni maggiori, che si presenta con festone floreale abitato da un uccello esteso su due margini e la c. Iv (antiporta) è interamente occupata da un disegno ad inchiostro bruno riproducente la Vergine in gloria tra nembi e angeli e recante in calce la scritta: "QUOS VOVEO NUMEROS MAGNI TIBI SPONSA TONANTIS ETEREO SIMILES FAC MAGIS ESSE MELOS" e il motivo è chiaro, visto che la Chiesa del Convento è dedicata proprio alla Madonna (S. Maria in Prato).

Di estremo valore e bellezza è la legatura, coeva, in piena pelle marrone su piatti di legno, con cornice e losanga a fregi impressi a secco, quattro massicci cantonali in ottone ed una borchia centrale su ogni piatto (più elaborata e a forma di stella su quello posteriore); quattro robusti lacci in cuoio con puntali in ottone; perimetro dei piatti rinforzato da una serie di borchie in ottone; cinque nervi doppi sul dorso e la data "1736" impressa a secco nel secondo comparto.

La notazione musicale è quadrata nera su pentagramma rosso, con caratteristiche mensurali tipiche del cantus fractus, indicazioni di battute, uso di pause, punto di valore, corone, legature ed alterazioni. Due particolarità riguardano le ultime carte, poiché nella c. 118r-v si trova una parte di Messa da Requiem ( Requiem, Antifona ad Introitum, e Kyrie ) con una seconda voce indicata con note in rosso; invece, alla c. 119r-v, si trovano due brani per l'inizio della messa (Asperges me e Vidi aquam) in canto gregoriano, quindi con notazione non mensurale.

La trascrizione in notazione rotonda moderna è stata decisa per rendere più fruibile l'intero corpus musicale del manoscritto, visto che oggi non molti sono in grado di leggere una notazione antica, anche se di semplice composizione. Quindi i criteri per la trascrizione sono stati improntati alla estrema semplicità ed alla più completa fedeltà al testo, evitando il più possibile aggiunte o segni di revisione.

Ho usato come chiavi musicali la chiave di violino tenorizzata, per indicare la chiave di do su terzo o quarto rigo, mentre ho usato la chiave di basso, per indicare la chiave di FA su terzo o su quarto rigo.

Le figure musicali sono state così scelte: la semibreve moderna per indicare la breve (nota quadrata nera) del manoscritto; la minima moderna per indicare la semibreve (losanga nera) del manoscritto; la semiminima moderna per indicare la minima (losanga nera con gambo) del manoscritto; la croma moderna per indicare la croma (losanga nera con gambo e ricciolino) del manoscritto.

Per l'indicazione di tempo ho usato il C in corrispondenza del relativo segno sul manoscritto, mentre ho usato la misura moderna di 3/2 interpretando la curiosa indicazione di 2/3 che riporta il manoscritto, ancora forse legato a reminiscenze della scrittura della polifonia ed in particolare ai segni delle proporzioni.

Le corone scritte dall'autore sono tutte state riportate, mentre ho segnato la sola semibreve con corona quando nel manoscritto, soprattutto alla fine dei brani, sono presenti più brevi una legata all'altra.

Nessun problema, quindi, per la parte mensurale, anche se è curioso notare che l'autore sembra non conoscere la legatura di valore , tanto che usa spessissimo fare delle battute di valore doppio dove all'interno c'è una nota con il punto che in realtà starebbe proprio a cavallo di battuta. Situazione simile è rappresentata da sincopi costituite da brevi che sono anch'esse risolte con battute di valore doppio.

Difficoltà maggiori comportano, invece, le alterazioni. Se da un lato sono chiaramente indicate le alterazioni in chiave, tranne che in due casi che tratterò dopo, per cui non c'è difficoltà alcuna visto inoltre che le sole alterazioni usate in chiave sono il sib ed il mib, dall'altro risulta essere estremamente difficoltoso capire le alterazioni transitorie. Si trovano diffusi in molti brani del manoscritto segni di alterazione corrispondenti al b ( indicato nel manoscritto con lo stesso segno b ) ed al # (indicato nel manoscritto dal segno X) ma non è immediato capire bene quale possa essere il motivo che spinge a mettere queste alterazioni. Dico questo perché la struttura compositiva generale di tutti brani è fondata certamente su basi ormai spiccatamente " tonali", ma allo stesso tempo risulta ancora estremamente legata a quella standardizzata " modalità liturgica" tipica del canto gregoriano più tardivo e della polifonia.

Troviamo infatti numerosi esempi di brani in mi ( terzo - quarto modo o deuterus ) che per la loro struttura cadenzale non hanno rispondenza nella tonalità; troviamo molte cadenze in cui non è indicata la sensibilizzazione della settima, mentre in altre è chiaramente indicata. Per non violentare la partitura e per lasciare la maggiore libertà di interpretazione a tutti ho indicato con b e # solo i segni riportati nel manoscritto e mi sono limitato a suggerire altre alterazioni solo in casi estremamente evidenti apponendo un b o # , in carattere ridotto, sopra la nota corrispondente.

Una menzione particolare va alla Messa III, la quale porta in chiave il solo sib ma, visto che ogni suo brano inizia e finisce con la nota sib, molte cadenze ed espressioni melodiche fanno pensare alla " tonalità di sib maggiore" e molti movimenti melodici mettono continuamente in evidenza il tritono mi - sib e viceversa: penso sia giusto leggere l'intera messa con l'aggiunta dell'alterazione mib; anche in questo caso ho preferito lasciare nella trascrizione la stessa armatura di chiave ed indicare solo con le alterazioni piccole sopra le note i suggerimenti per evitare almeno il tritono o i movimenti meno cantabili, lasciando a questa nota la mia interpretazione.

Altro caso da segnalare riguarda la messa XXI, scritta con la chiave di do in terza riga e con un b in chiave sul quarto spazio ( fa ), il che può solo far credere che si possa leggere pensando alla chiave di do senza alterazioni, come io ho trascritto oppure pensando alla chiave di fa e quindi con il sib in chiave.

Per quanto riguarda il testo non ci sono particolari problemi, quelle poche volte che manca qualche sillaba o lettera ho aggiunta la stessa indicandola con i segni < >.

Per una maggiore chiarezza e fruibilità ho dato una numerazione progressiva alle messe ed ai credo, indicando nel titolo specifico la nota dell'ambito "modale-tonale" in cui si muove e l'aggettivo "alternata" se si tratta di una Messa che prevede l'inserzione di altri passi vocali o organistici, visto che il testo risulta essere incompleto, come era nell'uso sette-ottocentesco.

La tecnica compositiva di tutti i brani del manoscritto è certamente quella del canto fratto, ma si nota una certa emancipazione nella scrittura man mano che si scorre il volume dall'inizio alla fine. Difatti, c'è un progressivo maggiore uso delle alterazioni, una più frequente e ricerca di situazioni ritmiche differenti e più complesse, moduli melodici e espressivi sempre più vicini ad una "estetica degli effetti" e sempre più lontani da quella sobrietà tipica del canto gregoriano. Da notare, senz'altro, il ricorrente uso di "formulette" melodiche inserite in contesti di progressioni che, se a volte donano grazia e orecchiabilità, quando diventano eccessive nel numero delle ripetizioni risultano estremamente stucchevoli.

Altro dato importante è, come avevo accennato sopra, l'uso ridotto di impianti "tonali - modali": non si va oltre gli ambiti di re, mi, fa, sol, do e sib, con particolare sfruttamento dell'ambito del fa. Ma la cosa che stupisce maggiormente è l'assenza quasi totale di "modulazioni" all'interno di ogni brano ed anche di ogni intera messa. Questo rende a volte pesante e piatto sia l'esecuzione che l'ascolto, ma è certamente anche un elemento che mette ancora una volta di più in luce che il canto fratto è nato e si è sviluppato come contaminazione tra vari stili ed estetiche musicali.

Per meglio constatare alcuni di questi aspetti, insieme al Dott. Prof. Giacomo Baroffio abbiamo pesato di indicizzare gli incipit musicali dei singoli brani, da cui ho ricavato le tre tabelle che poste prima della trascrizione possono fornire un valido aiuto a tutti coloro che intendono confrontare i brani con altre fonti.

Data la limitata disponibilità del tempo a mia disposizione, rimando ad un lavoro successivo lo studio particolareggiato e scientifico dei brani, tenendo conto che non vorrà essere solamente un approfondimento specifico sul solo manoscritto F.C.131 ma su tutto il corpus raddese.

Michele Manganelli

Bibliografia:
   -LEONARDELLI-RUINI, Codici, pg. 126 (scheda 1.23).
   -CESARINO RUINI, I Manoscritti liturgici della Biblioteca L. Feininger, pg. 294 - 295.