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Contributi e articoli [ Gozzi ]

   

Credo in canto fratto nelle biblioteche trentine

di Marco Gozzi

Sul repertorio liturgico in canto fratto persiste ancora una lunga serie di interrogativi, che qui elenco brevemente: quando nasce l’esecuzione del canto liturgico con elementi mensurali o proporzionali? Questa prassi mensurale è messa per iscritto subito, o la notazione ha tardato a registrare il fenomeno? L’esecuzione con valori proporzionali ha interessato solo una piccola parte del repertorio o ha investito molte forme? Si può collocare geograficamente l’origine del canto fratto? C’è uno sviluppo geografico o cronologico del fenomeno? Quali relazioni ci sono fra la struttura metrica dei testi di inni e sequenze e questo metodo di cantare proporzionato? C’è continuità genetica fra la notazione con elementi mensurali destinata agli inni (forse semplicemente derivata dal desiderio di evidenziare sillabe lunghe e sillabe brevi) e quella, ad esempio, dei Credo (con forme notazionali che vanno dalla longa alla minima), oppure si tratta di fenomeni indipendenti? Quante forme notazionali diverse conosce il canto fratto? La differenza di notazione implica anche una differenza di esecuzione? Quali varianti si osservano fra le versioni che tramandano lo stesso canto in notazione mensurale: solo melodiche o anche ritmiche, e come si devono interpretare queste varianti? La tradizione mostra canti melodicamente quasi uguali che in testimoni diversi possiedono la normale notazione quadrata oppure la notazione proporzionale del canto fratto. Anzitutto è bene censire questi canti, ma una volta conosciuto il repertorio a doppia tradizione si deve presupporre un’esecuzione ritmica anche per la versione neumatica? La testimonianza di Biagio Rossetti sembra attestare che alcuni esecutori, non comprendendo il tipo di notazione utilizzato per alcuni canti (il Credo cosiddetto ‘Cardinalis’, le sequenze e gli inni), li eseguivano a note uguali come il resto del repertorio; esiste quindi anche il caso di componimenti scritti in canto fratto che erano eseguiti ‘sine mensura’? Vi sono momenti storici o zone geografiche particolari dove il fenomeno del canto fratto ha avuto una fortuna peculiare? Che rapporto c’è fra i diversi tipi di notazione del canto fratto e le tre forme del neuma monosonico (longa, brevis e semibrevis) che si incontrano nella notazione quadrata di quasi tutte le edizioni liturgiche del Seicento? I Credo tramandati in canto fratto sono nati con questo tipo di ritmo o hanno conosciuto una precedente fase amensurale? Perché il canto fratto si trova principalmente associato ai Credo e al Gloria Spiritus et alme? È la lunghezza del testo - come affermano alcuni teorici - ad aver causato la ricerca di una maggiore varietà e quindi l’introduzione del ritmo proporzionato in questi canti? Perché allora in molti testimoni si incontrano credo in canto fratto accanto a credo non mensurali?
Solo un censimento a vasto raggio, non solo nazionale, del fenomeno può condurre a qualche risultato concreto. Per questo è stato avviato un “programma di ricerca scientifica di rilevante interesse nazionale” (PRIN), cofinanziato dal Ministero, che coinvolge le Università di Lecce, Padova, Parma e Pavia-Cremona oltre alla Fondazione ‘Guido d’Arezzo’. Il progetto è stato denominato RAPHAEL (acronimo di Rhythmic And Proportional Hidden or Actual ELements in Plainchant) e da esso si attendono nuove informazioni sul fenomeno.

Il presente contributo intende molto più semplicemente spiegare con esempi, attraverso i facsimili di alcune pagine di libri liturgici conservati nelle biblioteche del Trentino o comunque provenienti dalla regione (sia manoscritti, sia a stampa), la varietà e la diffusione del fenomeno denominato ‘canto fratto’, limitatamente ad alcuni Credo monodici fino ai primi anni del Seicento.
Saranno analizzati degli esempi significativi, con pochi commenti essenziali, nella convinzione che anche solo da questa rapida carrellata si possano enucleare alcune importanti tematiche sottese allo studio del canto fratto, qui colto in una limitata ma significativa porzione di repertorio.
L’indagine comincia da un celebre Credo, spesso citato dai teorici che accennano al fenomeno del canto fratto: il Credo cosiddetto ‘Cardinalis’.

1) Credo Cardinalis (incipit musicale da ‘Patrem’: la re la sol fa mi re mi re do re)
La Figura 1 riproduce questo Credo come appare in un piccolo manoscritto francescano del Quattrocento conservato nella Biblioteca del convento di San Bernardino di Trento: il codice 312.
Nel manoscritto compare eccezionalmente anche l’incipit riservato al celebrante (“Credo in unum Deum”), ripreso pari-pari dal versetto successivo e dunque con ogni probabilità non originale. Si noti il segno di tactus (semicerchio tagliato, scritto in rossso) che indica il tempus imperfectum diminutum. Come accade in molti libri liturgici la notazione non usa però le figure tipiche della coeva notazione mensurale (in questo periodo - fine Quattrocento - primi anni del Cinquecento - è in uso la notazione mensurale bianca), ma crea un ibrido con le figure della notazione quadrata. Così se semibrevi e minime sono riconoscibili (e derivate dalla notazione nera del XIV secolo), in questo tipo di scrittura brevis e longa sono scritte rispettivamente come longa e coppia di longae parigrado. Incerto è il valore dei gruppi di tre minime in cadenza, che insieme dovrebbero formare il valore di una breve (dunque terzine?); nell’incipit su De-um si osservi che lo stesso gruppo è scritto come semibreve seguita da due minime (ossia con il ritmo 2+1+1, non terzina).
Un manoscritto di poco precedente, conservato nella stessa biblioteca (Biblioteca di San Bernardino dei Francescani di Trento, ms. 310, sec. XV, cc. 45v-46r), mostra un diverso tipo di notazione (Figura 2), questa volta realmente modellato sulla notazione mensurale nera del Trecento italiano, con punti di divisio e semibrevi caudate (con la forma della semibrevis maior) nelle cadenze.
Un passo di grande interesse del celebre teorico italiano Franchino Gaffurio nella Practica Musicae del 1496 cita questo Credo, chiamato Symbolum cardineum, come prototipo di cantus planus scritto con il tipo di notazione mutuato dal ‘canto figurato’ (cioè fatto di longhe, brevi e semibrevi):
Sunt et qui notulas huiusmodi plani cantus aeque describunt et commensurant figuris mensurabilis consideratio sicut longas, breves ac semibreves, ut constat in Symbolo cardineo et nonnullis prosis atque hymnis: quod Galli potissime ad ornationem modulorum pronunciationem ipsa diversitate concipiendam celeberrime prosequuntur.

Dal passo si apprende che lo stesso sistema di notazione mensurale utilizzato per il Symbolum cardineum (con longae, breves e semibreves, non si parla di minimae, ma queste ultime devono forse essere comprese nella categoria delle semibreves) era usato in Italia per alcune (poche) sequenze e qualche inno; secondo Gaffurio l’invenzione e l’impiego costante di composizioni di questo tipo, con notazione mensurale, si deve ai Francesi (e Franco-Fiamminghi?). Trent’anni dopo Gaffurio il sacerdote veronese Biagio Rossetti riprende quasi testualmente lo stesso concetto nel suo Libellus de rudimentis musices (1529), e associa nuovamente l’uso della notazione mensurale al Credo Cardinalis (indicato qui anche con l’inedito aggettivo ‘patriarchino’), alle sequenze (prosae) e agli inni, ma senza ulteriori connotazioni geografiche o cronologiche:

Notas aeque describunt et commensurant figuris cantus mensurabilis, ut longas, breves ac semibreves, ut constat in Symbolo cardineo vel patriarchino, et in prosis et himnis.

Simile accenno fa anche Giovanni Maria Lanfranco nel trattato Scintille di musica del 1533. Il Credo Cardinalis era utilizzato per le festività maggiori (in festis duplicibus); risale presumibilmente al secolo XV. La Figura 3 mostra tale Credo in un altro testimone della Biblioteca musicale Feininger di Trento: il manoscritto francescano FC 87, del sec. XV (cc. 107v-108r). Le note iniziali e finali di tutti i versetti sono rosse. Le semibrevi erano in origine probabilmente senza gamba e sono state trasformate tutte in minime da una mano seriore. Un identico tipo di notazione si incontra in un altro manoscritto francescano, questa volta cinquecentesco, assai più calligrafico e meglio conservato: il codice FC 40, un Kyriale proveniente dal convento di San Gerbone (Lucca), c. 20v (si veda la Figura 4).
Le note iniziali e finali dei versetti sono rosse, come entrambe le longae iniziali su ‘Patrem’ sono in inchiostro rosso, ad indicare forse un raddoppio rispetto alla longa nera (che ha il valore di breve). Tutte le note quadrate hanno la gamba (comprese le rosse); la gamba è molto sottile e nelle riproduzioni a bassa risoluzione o nei microfilm spesso scompaiono. Le gambe alle minime, in cadenza, che presentano invece un tratto marcato e non perfettamente rettilineo sono evidentemente aggiunte di mano seriore; in origine si trattava di tre semibrevi indifferenziate.

La Figura 5 riproduce la c. 93r del manoscritto Trento, Biblioteca musicale L. Feininger, FC 71, Fiorentino, del sec. XVI. Le rubriche che accompagnano il Credo Cardinalis sono questa volta: Cantus solemnis e In maioribus dupplicibus. Il segno di tactus aggiunto mostra il cerchio con tre punti all’interno (ad indicare il tempus e la prolatio perfetti) ed è piuttosto sospetto, sia per l’arcaicità del segnbo rispetto alla cronologia del manoscritto, sia per l’ordo mensuralis che indica, inadeguato al pezzo, almeno così come lo conosciamo dalla maggioranza degli altri testimoni, che indicano tutti un metro binario.
Uno dei testimoni più autorevoli del Credo in esame è il Graduale stampato da Lucantonio Giunta nel 1499-1500 e curato dal francescano Francesco de Brugis, dove è evidente il segno di tempo imperfetto con taglio (si veda la Figura 6). L’esemplare riprodotto è conservato nella Biblioteca musicale L. Feininger (FSG 2, c. 350r). La rubrica in calce alla pagina precedente recita: Credo maior. Il tipo di notazione impiegato mostra il segno di tempus imperfectum diminutum; i valori utilizzati sono la longa (formata da due breves caudate accostate), la brevis (caudata, ossia con la forma di longa, dato che il punctum quadrato senza gamba - ossia la forma tipica della breve nella notazione mensurale nera - non era presente tra i caratteri tipografici giuntini), poi semibreves, minimae e ligaturae cum opposita proprietate. Anche l’edizione Giunta del 1515-16 e le seguenti (come pure quelle di Liechtenstein) hanno lo stesso tipo di notazione.

Lo stile del Credo Cardinalis, come si osserva nella stragrande maggioranza dei Credo, è semisillabico: brevi melismi si trovano spesso prima delle cadenze, in particolare associati ad uno stilema ritmico-melodico ricorrente nella prima parte (mi re-mi re do re, oppure si la-si la sol la). Tutti i versetti (da cantare con la prassi dell’alternanza da parte dei due semicori) si concludono con una chiara cadenza; su diciannove cadenze undici sono a re, cinque a la, due a mi e una a fa, e dimostrano come il pezzo sia saldamente impiantato nel primo modo autentico, con chiara polarità fra finalis e repercussio, polarità evidentemente ritenuta essenziale al modus dall’ignoto compositore quattrocentesco.
La melodia si muove prevalentemente per grado congiunto, ma sono assai frequenti anche i salti di quinta, sia discendenti, sia ascendenti (la-re o re-la), a cominciare dal solenne incipit declamatorio. Relativamente frequenti sono anche i salti di ottava ascendente re-re, che si incontrano però solo tra la nota finale di un versetto e quella iniziale del successivo.
Nonostante l’uso di materiale melodico-ritmico ben delimitato e stereotipato (uso prevalente di brevi e semibrevi, ricorso frequente a figurazioni che nascono dalla fioritura di un suono tenuto, tipo: sol-la-sol-fa oppure la-sol-la-si, o ancora scale ascendenti o discendenti) il pezzo non mostra vere e proprie ripetizioni di singole frasi, configurandosi come continua rielaborazione tematica di alcune semplici linee melodiche elementari.
Il rispetto degli accenti testuali non è molto curato, segno forse di una scarsa preoccupazione dell’autore nei confronti del testo liturgico; questo fatto tradisce anche un modo di comporre che privilegia l’adattamento delle sillabe ad una linea melodico-ritmica inventata precedentemente, anziché rivelare una scrittura che parte dal testo per la costruzione del materiale melodico-ritmico, come invece è certamente avvenuto per lo strato più antico del gregoriano.
In ogni caso si tratta di una composizione musicale importante, che ebbe grande diffusione in Europa, che probabilmente fu anche cantata a due voci (la voce aggiunta era tramandata oralmente, secondo una prassi diffusa) e che mostra una fiorente tradizione sia manoscritta sia a stampa.
La Figura 7 mostra un testimone manoscritto spagnolo, attribuito al secolo XV (ma forse del tardo sec. XVI), che tramanda questo Credo: è il codice Trento, Biblioteca musicale L. Feininger, FC 35 (c. 121v). Il Credo Cardinalis è qui chiamato ‘Romano’. La notazione usa solo brevi, semibrevi e longhe (le longhe sono fatte dalla figura di breve seguita da longa); non compaiono minime. Il ritmo delle cadenze presenta perciò delle sincopi.
Questo stesso tipo di notazione si trova nel Graduale stampato a Venezia da Angelo Gardano, del 1591, curato da Andrea Gabrieli, Orazio Vecchi e Ludovico Balbi (cfr. Figura 8).
Nella lezione di Gardano le cadenze sono un po’ più fiorite rispetto alla versione fornita dal manoscritto spagnolo. Si noti che in alcune cadenze una mano seriore ha aggiunto le gambe alle minime nell’esemplare conservato presso la Biblioteca musicale Feininger, segno di una prassi diversificata. Questa edizione è importante per studiare e integrare i versetti delle messe organistiche di Andrea Gabrieli.
Per quanto riguarda l’importante repertorio delle messe organistiche, spesso trascurato dai gregorianisti, si veda poi l’interessante versione del Credo Cardinalis pubblicata da Giovanni Matteo Asola nella Figura 9. Si tratta di una pagina del libro intitolato Canto fermo sopra messe, hinni et altre cose ecclesiastiche appartenenti à sonatori d’organo per giustamente rispondere al choro, Venezia, Giacomo Vincenti, 1592; dell’opera esistono due ristampe uscite nel 1596 e 1597, segno della grande fortuna del libro. Non si tratta di un libro liturgico, ma di un manuale per organisti, con i soli versetti pari, riservati alla parafrasi organistica. Qui vediamo finalmente utilizzata la notazione mensurale bianca, con un preciso e indubitabile rapporto proporzionale fra i valori (che riprende il modello ritmico già visto nel Graduale Giuntino del 1499 e si distanzia invece dal coevo Graduale di Gardano; ma si veda nel facsimile la cadenza su ‘invisibilium’ con la sincope). La mancanza del segno di tactus non inibisce l’identificazione di una chiara struttura di tempus imperfectum diminutum. Si noti comunque come le prime due note non siano longhe, come indica quasi unanimemente la tradizione precedente, ma siano state ridotte a brevi.
Solo cinque anni più tardi (1597) uscirà a Madrid un Graduale con la versione riportata nella Figura 10 (l’esemplare consultato si trova nella Biblioteca musicale L. Feininger, FSG 17). Testo, rigo e note di questo libro sono stampati insieme (con una prima impressione), ma si tratta comunque di un ‘rosso e nero’, anche se l’inchiostro rosso riguarda solo la C maiuscola e la rubrica (In duplicibus minoribus): il foglio è stato dunque inchiostrato due volte. La versione ritmica di questo madrigale spagnolo si rivela assai vicina a quella che si legge nell’edizione Giunta del 1499-1500, ma anche qui le prime due note sono brevi e c’è un po’ di incertezza fra brevi e semibrevi nel versetto ‘Factorem caeli’.
Nella Figura 11 è riprodotta la versione fornita dalla celebre Editio Medicea del 1614. La notazione e il ritmo sono diversi da tutte le versioni sinora viste: si usano longa, brevis e semibrevis (tutte nere, non bianche), ma si potrebbe avere qualche dubbio sulla natura proporzionale di questa notazione. Se è mensurale vi è e una chiara organizzazione metrica binaria (da battere alla longa).
L’ultimo esempio dedicato a questa celebre composizione (Figura 12) è il Credo IV Vaticano nella lezione del Graduale Triplex (p. 776), dove il Credo Cardinalis è stato privato di qualsiasi indicazione ritmico-proporzionale, e dunque spogliato di una sua caratteristica essenziale.

Come si può vedere la realtà della tradizione è assai diversificata, sia per quanto riguarda la notazione, sia per il ritmo, sia per l’intonazione iniziale (quando c’è). La presentazione delle varianti è stata qui volutamente limitata ad alcuni testimoni presenti a Trento, se si allargasse lo sguardo alle altre realtà locali europee le varianti ovviamente si moltiplicherebbero e forse potremmo chiarire anche qualche aspetto della tradizione e scovare il più antico manoscritto oggi conservato che tramanda questo celebre Credo.
Il lavoro di analisi delle varianti e la valutazione delle numerose versioni sarà eventualmente oggetto di ulteriori contributi. Ciò che qui premeva evidenziare è la diversificazione della tradizione manoscritta e a stampa relativamente ad una composizione di creazione tarda, che a prima vista parrebbe logico fosse trasmessa con una certa uniformità. L’invenzione della stampa non ha affatto appiattito la tradizione o fissato il repertorio, ma ha perpetuato quella diversificazione che si osserva nella breve storia manoscritta del pezzo.

2) Credo apostolorum (incipit musicale da ‘Patrem’: sol la sol sol si la sol fa sol)
Il Credo Cardinalis è di solito accoppiato, nei manoscritti francescani, ad una altro Credo in canto fratto, talvolta indicato come ‘De apostolis’ o ‘Patrem apostolorum’, non presente nel Graduale Triplex, ma molto diffuso e riprodotto nei facsimili da Figura 13 a Figura 19. La struttura musicale e il ritmo sono più semplici di quelli del Credo Cardinalis, con l’uso quasi esclusivo di brevi (caudate) e semibrevi. I due caratteristici salti di quinta (discendente e ascendente) che nel Credo Cardinalis si trovavano all’inizio della composizione ora sono tra la fine del primo versetto (Patrem omnipotentem) e l’inizio del secondo (factorem caeli). Eccone l’incipit (tratto dal Graduale Giunta del 1500):

La Figura 13 mostra questo Credo come appare nel manoscritto Trento, Biblioteca San Bernardino dei francescani, 310, alle cc. 48r-48v; la Figura 14 riporta invece le lezioni tramandate dal già citato manoscritto 312 della stessa biblioteca, del sec. XV ex., con la rubrica “De Apostolis”. Pur essendo molto simili come lezione e come ritmo (entrambi usano estensivamente le ligaturae cum opposita proprietate per le frequenti coppie di semibrevi discendenti), le due versioni divergono per l’intonazione e per la proprietà di bemolle. Incerto è il valore ritmico del pes (che si trova la prima volta sulla sillaba iniziale di ‘Patrem’), probabilmente da eseguire come due Brevi e non come due Semibrevi, dato che la forma della ligatura cum opposita proprietate (semibreve-semibreve) è ben conosciuta dagli scribi.
Nella Figura 15 è riprodotta la c. 106r di un altro manoscritto francescano quattrocentesco della Biblioteca Feininger (ma non trentino di origine), dove questo Credo precede, anziché seguire, il Credo cardinalis; si tratta del già ricordato codice FC 87. L’impressione è che la notazione non sia affatto proporzionale.
Nella Figura 16 si osserva invece una pagina del già citato manoscritto fiorentino cinquecentesco (Trento, Biblioteca musicale Laurence Feininger, ms. FC 71, c. 95r): si noti la singolare rubrica, che recita “Cardinalensis cantus” anziché “De Apostolis”. Qui la notazione sembra proprio mensurale (si osservano breves, ligaturae cum opposita proprietate e qualche pes).
Ancora più spinta in senso mensuralistico è la versione che si trova in un altro codice quattrocentesco della Biblioteca Feininger (ms. FC 84, Italia, sec. XV, p. 156), riprodotta nella Figura 17: qui anche le ligaturae ascendenti (tranne la prima) sono cum opposita proprietate, come accade anche nel Graduale pubblicato da Giunta del 1500 (Figura 18).
Nella Figura 19, infine, compare l’inizio della versione tramandata dal Graduale stampato da Gardano nel 1591 (c. 219v), con la rubrica In festis duplicibus secundae classis; in questa edizione compaiono solo brevi e semibrevi, ed è forse la versione più chiara dal punto di vista ritmico dell’intera tradizione, che mostra la semplicità della struttura melodico-ritmica.

3) Credo “de dominica” (Vaticano I)
Ai due Credo mensurali appena descritti il Graduale stampato da Giunta a Venezia nel 1500 associa il Credo ‘De dominica’, ossia l’unica melodia che poi si è imposta, che corrisponde al Credo I della Vaticana. È scritto in notazione quadrata, privo cioè di indicazioni ritmiche (Figura 20).
Lo stesso Credo, indicato con la rubrica “In diebus dominicis”, è presente però alle cc. 222r-223r del Graduale di Angelo Gardano curato da Andrea Gabrieli (1591), ma questa volta con notazione mensurale, formato da brevi e semibrevi (Figura 21).
Questo Credo diventerà il principale nelle edizioni vaticane, ma la realtà tardo medievale è assai diversa.

4) Credo “ad libitum” (Vaticano III)
Nel Graduale di Gardano (cc. 221r-222r) - oltre ai tre già visti - si incontra il Credo indicato come “In festis, ad libitum”, che corrisponde al Credo III della Vaticana (si veda la Figura 22). Anche in questo caso si osservano solo brevi e semibrevi, che formano un chiarissimo ritmo mensurale.
La stessa melodia si incontra anche nell’Editio Medicea, a c. 335v del secondo volume, con incipit (prime tre note) una terza sopra (si tratta probabilmente di un semplice errore di stampa) e alcune varianti, ma ancora con chiara notazione proporzionale (Figura 23). Si noti che il neuma monosonico è normalmente senza gamba (scritto come una breve o come una semibreve della notazione mensurale nera), ma in alcune sillabe toniche e nelle finali ha la forma della longa.
Una scrittura assai simile, ma priva delle longhe, si può incontrare anche nella tradizione manoscritta, come avviene a c. 183 del Graduale con Kyriale utilizzato dalla seconda metà del Quattrocento (e fino all’Ottocento) nel Duomo trentino, carta riprodotta in Figura 24: si tratta del codice Trento, Archivio Diocesano, Biblioteca Capitolare, ms I. Il Credo fu probabilmente aggiunto da mano seriore nel Cinquecento: è l’ultima composizione del codice.

5) Credo [‘primi toni’] solenne (incipit musicale da ‘Patrem’: re la la la do la solfa sol sol)
La tradizione dei paesi di lingua tedesca si dimostra molto diversa da quella italiana. Talvolta, nelle fonti tedesche, si incontrano Credo completamente diversi da quelli italiani, ne sono testimonianza alcune edizioni e alcuni manoscritti conservati nella regione tridentina. La Figura 25 mostra i quattro Credo contenuti nel Graduale con Kyriale stampato a Basilea da Jacob de Pfortzheim (a spese di Cristoforo Thun) nel 1511 (ora all’Archivio diocesano di Trento). Si osservi il primo in alto a sinistra, che ho chiamato ‘primi toni’ per la sua chiara intonazione modale: probabilmente non si tratta di un Credo in canto fratto (nel Graduale Pataviense stampato a Vienna nello stesso anno compare a c. 288r ed è certamente non mensurale; reca inoltre la dicitura: “Solenne”), ma è preceduto e seguito da composizioni in canto fratto: il Gloria Spiritus et alme e altri tre Credo in canto fratto. Questo Credo compare anche nel Graduale Romanum, Augsburg, Erhard Ratdolt, 1494 (un esemplare è conservato a Bolzano, Museo civico, Rari D 19), alle cc. 105v-106r.
Un Credo dall’inizio assai simile, ma poi con tali varianti da non essere più riconoscibile, si incontra in Spagna un’ottantina d’anni dopo, in una chiarissima notazione mensurale, che inizia, però, dal terzo versetto (“Factorem caeli”), lasciando i primi due alla consueta notazione quadrata priva di indicazioni ritmiche: è riprodotto nella Figura 26. Il libro è un Officium Hebdomadae Sanctae per la diocesi di Toledo, Toledo 1576 (Biblioteca musicale Feininger, FSV 79); la rubrica indica che si tratta di un Credo per la domenica delle Palme.
Lo stesso Credo si trova in un Graduale stampato a Madrid vent’anni dopo e intitolato Proprium Missarum de sanctis per totum annum cum communi et Kyrioes et Gloria, Madrid, Typgraphia Regia, 1597 (Trento, Biblioteca musicale Feininger, FSG 17, pp. 227-228); si veda la Figura 27.

6) Credo (incipit musicale da ‘Patrem’: fa mi fa re re)
Il Credo in alto a destra di Figura 25 si trova a c. 169r del Graduale stampato a Basilea da Jacob de Pfortzheim (a spese di Cristoforo Thun) nel 1511 (Trento, Archivio diocesano, senza segnatura). La notazione, non molto adatta ad esprimere valori mensurali, viene piegata allo scopo. Il punctum romboidale diventa il valore base (semibreve), la breve (suo doppio) è rappresentata da due semibrevi parigrado vicine (ma un poco staccate), mentre la minima (metà della semibreve), è scritta con una cauda obliqua che parte dal basso della nota.
Lo stesso succede nell’incunabolo stampato da Erhard Ratdolt nel 1494 (di cui esiste una copia al Museo civico di Bolzano) riprodotto in Figura 28. Si noti il troncamento del testo dopo il versetto relativo all’incarnazione: le ultime parole di questo Credo sono “et homo factus est. Amen”.

7) Credo ‘fa do fa do’
Il terzo Credo della Figura 25 (in basso a sinistra) si può chiamare fa do fa do per questi tre energici intervalli all’inizio del Patrem. Questo Credo, come il precedente, non possiede tutto il testo canonico della professione di fede, ma si ferma al versetto “Crucifixus etiam pro nobis; sub Pontio Pilato passus et sepultus est. Amen” (la conclusione è nel foglio 170r, a fronte).
Il tipo di notazione è mensurale con le stesse caratteristiche del Credo precedente. Come è possibile vedere nelle Figure 7a e 7b, altre edizioni e altri manoscritti di area tedesca preferiscono scrivere le minime con la normale forma della polifonia misurata, ossia con la gamba superiore diritta e non obliqua: la Figura 29 riproduce il Graduale Pataviense, Vienna 1511, cc. 290v-291; la Figura 30 non mostra lo stesso Credo, bensì un altro Credo diffuso nell’area tedesca. Possiede però lo stesso troncamento già osservato; si trova nel manoscritto, proveniente da Novacella e ora a Innsbruck, Universitätsbibliothek, ms. 457 (sec. XIV), c. 91v. Come si può vedere la melodia è stata riscritta al posto di una precedente linea melodica di Credo poi abrasa, ma il testo si ferma a ‘sepultus est’. L’esempio è assai interessante anche per il tipo di notazione: non si tratta di Hufnagelschrift con elementi mensurali (come nel Graduale di Passau di Figura 29), bensì di reale notazione mensurale nera, con brevi, semibrevi e minime.

8) Credo <salto d’ottava> (resi re -> re fa mi re sol mi re do)
Significativo è anche il quarto Credo (quarto ed ultimo) che si incontra nel Graduale di Basilea del 1511 (Figura 25, in basso a destra): esso inizia con un ardito melisma sulla prima sillaba, che contiene un salto di ottava.
Identico Credo si trova già a c. 116r del Graduale di Ratdolt, stampato nel 1494 (Figura 31). Anche qui le forme sono il punctum romboidale e la virga a forma di chiodo che valgono un tempo, il doppio punctum che vale appunto il doppio e il punctum con cauda (simile all’apostrofo) che vale la metà.
Gli esempi appena discussi mostrano come anche i Graduali di area tedesca siano ben forniti di Credo in canto fratto, ma la realtà è diffusa anche in Spagna. Le figure successive mostrano altri esempi di questo tipo tratti dalla Biblioteca musicale L. Feininger del castello del Buonconsiglio di Trento.

9) Credo (incipit musicale da ‘Patrem’: sol mi sol re mi fa)
In un Graduale spagnolo quattrocentesco compare questo Credo in canto fratto etichettato come ‘Italiano’ (Figura 32).
Lo stesso Credo si ritrova in un libro a stampa del 1564, con lo stesso tipo di notazione (solo brevi e semibrevi) di pedro ferrer, Intonario general para todas las iglesias de España, Zaragoza, Pedro Bernuz, 1564 (Trento, Biblioteca musicale Feininger, FSV 50), che è riprodotto nella Figura 33. Nonostante l’etichetta di ‘Italiano’, questo Credo si evidenzia come tipicamente spagnolo.

La tavola I, che elenca i Credo presenti in alcuni testimoni a stampa conservati nelle Biblioteche trentine, mostra come anche nell’ordine di presentazione le differenti melodie di Credo si trovino in diversa successione. Se escludiamo le due edizioni di area tedesca (Ratdolt e Pfortzheim, ricordo la FIG. 5) che presentano gli stessi Credo nello stesso ordine (ma completamente diversi da quelli italiani), le edizioni stampate da Giunta, Liechtenstein, Gardano e dalla Tipografia Medicea rivelano notevoli diversità: l’edizione Giunta ha solo tre Credo, di cui uno non in canto fratto; l’edizione Liechtenstein, uscita dopo il Concilio di Trento, ne mostra quattro tutti in canto fratto. I primi due sono in comune con Giunta, poi il Vaticano III e il II. Gardano, pochi anni dopo, pubblica gli stessi primi tre Credo di Liechtenstein, ma cambia il quarto. L’Editio Medicea declassa il Credo Cardinalis mettendolo al secondo posto e inserisce al primo il Credo Domenicale (Vaticano I), mai apparso nelle precedenti edizioni e in una particolare versione non mensurale. L’inizio dei quattro Credo presenti nell’Editio Medicea è riprodotto nella Figura 34.
Come sempre accade, si osserva una grande diversità fra i testimoni, anche dopo il Concilio di Trento e anche nella tradizione a stampa, ritenuta ormai standardizzata. La realtà mostra un’ampia differenziazione dei canti e numerose tradizioni locali, tutte ancora da studiare. Mancano tabelle, repertori, atlanti di paleografia, studi sull’origine, sulla diffusione e sulla prassi dei singoli canti nelle diverse realtà locali. C’è ancora molto lavoro da fare, ma qualcuno ha accolto la sfida.

Visualizza le 34 figure numerate (molte a colori)


TAVOLA 1

Alcuni Credo della tradizione a stampa
conservati nelle biblioteche trentine

Ratdolt, Augsburg, 1494
<‘primi toni’> [non fratto]
<fa mi fa re re> [fratto]
<fa do fa do> [fratto]
<salto d’ottava> [fratto]

Giunta, Venezia, 1500
Maior (=Vat. IV) [fratto]
De Apostolis [fratto]
De dominica (=Vat. I) [non fratto]

Jacob de Pfortzheim, Basilea, 1511
<‘primi toni’> [non fratto]
<fa mi fa re re> [fratto]
<fa do fa do> [fratto]
<salto d’ottava> [fratto]

Liechtenstein, Venezia, 1585
In festis duplicibus primae classis (=Vat. IV) [fratto]
In festis duplicibus secundae classis (=Apostoli) [fratto]
In festis, ad libitum (=Vat. III) [fratto]
Dominicis diebus (=Vat. II) [fratto]

Gardano, Venezia, 1591
In festis duplicibus primae classis (=Vat. IV) [fratto]
In festis duplicibus secundae classis (=Apostoli) [fratto]
In festis, ad libitum (=Vat. III) [fratto]
In diebus dominicis (=Vat. I) [fratto]

Medicea, Roma, 1614
In festis duplicibus (=Vat. I) [non fratto]
In festis duplicibus (=Vat. IV) [fratto]
In festis, ad libitum (=Vat. III) [fratto]
In festis, ad libitum (=?) [non fratto]